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domenica 21 dicembre 2008

Ventenni rubano posti di lavoro. E fra qualche anno anche loro saranno depredati.

Contratti di apprendistato, contratti a progetto, contratti a termine. L’assunzione? Un’utopia.


L’affannosa ricerca di lavoro, alle volte, può portare a strappare a qualche agenzia interinale o a qualche azienda medio-grande un contratto a tempo determinato. In altri casi si riesce a farsi prendere da qualche piccola ditta. Ed utilizziamo il verbo “prendere”, poiché di assumere, oggi, non ne vogliono sentir parlare i piccoli imprenditori.
Ecco che il giovane del ventunesimo secolo inizia a muovere i prima passi nel mondo del lavoro.
Nel migliore dei casi si impegna, sorbisce cazziatoni, osserva e cerca di apprendere il più possibile. Nel peggiore dei casi, lascerà il lavoro, convinto dalla sicurezza dei suoi vent’anni di non aver difficoltà a trovare un altro impiego. Prendendo il migliore dei casi, il bravo ragazzo con la testa sulle spalle, crede che dopo i primi tempi della gavetta, potrà trovare quella serenità, da tutti bramata, in un contratto a tempo indeterminato. Purtroppo la realtà sembra che si diverta a disilludere il giovane di questa nostra era.
Nell’epoca del benessere e della tecnologia, il posto fisso è quanto mai un’utopia. Si fanno sacrifici, si lavora sottopagati, tantissime ore, straordinari non riconosciuti, ci si sacrifica per fare esperienza e per imparare il mestiere… praticamente per nulla.
E l’età in cui si suppone che si possa stare tranquilli comprende il maggior numero di disoccupati. A vent’anni si riesce a lavorare in varie aziende, varie multinazionali, ma dato che nessuno pone il contratto a tempo indeterminato, è facile a trovarsi tra i venticinque e i trent’anni senza uno straccio di lavoro, arrivare a trent’anni e accorgersi che non ti vuole più nessuno. Basta guardarsi attorno: ovunque ci sono ragazzi con i contrattini dell’agenzia interinale, spesso giovanissimi. E non è difficile denotare come nei call center sono più i trentenni che i ventenni ed è impensabile che la gente fino ai trent’anni non abbia mai lavorato. È la conferma di statistiche che girano su internet che evidenziano come sia bassissima la percentuale dei lavoratori che passano dal contratto a tempo determinato a quello indeterminato. E uomini che dovrebbero rappresentare noi abitanti di una repubblica allo sbando, pensano alle tasche delle imprese. Maroni dichiarò che la precarietà non è un male, per le aziende è una manna far sottoscrivere questi contratti a termine. Beh… allora, dico io, mettiamoci tutti in proprio.
Siamo nel 2008, ma nulla è cambiato nel corso del secoli, nel corso dei millenni. Chi è al potere tutela chi ha il denaro, noi povera gente, dobbiamo interpretare il ruolo dei plebei e anche in silenzio.
Tutto il sistema è oramai lontano dalla realtà. Non è più il merito che premia, oggi nel mondo del lavoro, conta solamente la fortuna. Fortuna di conoscere qualcuno che conta, di ricevere qualche spinta, fortuna derivata dal caso, essere al posto giusto, nel momento giusto.
E nonostante il livello culturale, d’istruzione, si sia centuplicato nel corso degli ultimi decenni, nonostante la razionalità sembra sempre più aver preso il posto della fantasia, della creatività, nonostante si viva in un tempo fantascientifico dove si possono magicamente ascoltare centinaia di dischi, che un tempo occorrevano delle camere a parte per contenerli, mentre adesso basta e avanza il palmo di una mano, non resta sostanzialmente il fatto che… ci vuole un fondoschiena non indifferente per avere un contratto a tempo indeterminato.

Francesco Favia


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