L’Italia, le nostre vite, affidate ad un governo tecnico
Riusciranno a salvarci? L’editoriale di Francesco
Favia
Governo un po’ medico, un po’ supereroe
Tra le riforme delle manovra “salva Italia” del Governo
Monti, fa molto discutere negli ultimi giorni la riforma del lavoro ed in
particolare il punto dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, ovvero
quello che afferma che il licenziamento è valido se avviene per un giustificato
motivo.
Subito c’è stato l’alt dei
sindacati, pronti a criticare le proposte della Ministro del Lavoro Elsa
Fornero.
Un governo tecnico essenzialmente
voluto dall’Europa, per salvare la nostra nazione da ulteriori tracolli, che
avrebbero ulteriormente danneggiato non solo l’economia europea, ma
probabilmente anche l’immagine nel nostro continente al cospetto del resto del
mondo.
Per il momento le azioni di
questo governo tecnico hanno lasciato l’amaro in bocca a molti italiani,
dinanzi alle diverse tasse e i diversi aumenti imposti. Molti poi che erano
prossimi alla pensione, ormai rimandata di diversi anni, sono rimasti
letteralmente basiti. Sarà dura per un ultrasessantenne continuare a fare
l’operaio, alzare pesi, fare turni di notte o anche resistere allo stress di
alte tipologie di lavoro, all’apparenza non particolarmente usuranti. Sarà dura
per le loro coronarie.
Azioni che sono servite per
salvare un malato terminale, per usare la frequente metafora adoperata dai rappresentanti
di questo supereroico governo.
Adesso stanno lasciando non pochi
aloni di perplessità le intenzioni del governo di migliorare le condizioni
lavorative in Italia, cercando di aumentare le possibilità di assunzioni e
cercando, finalmente, di abolire il precariato.
Articolo 18, agnello sacrificale
Senz’altro è da capire chi ha un
lavoro da tanti anni e vorrebbe difenderlo, ma non credo che l’articolo 18 sia
sostanzialmente un’arma di difesa. Paradossalmente spesso diventa un’arma di
suicidio, causa spesso di mobbing e di forti pressioni psicologiche e soprusi
dell’azienda che per anni ha sfamato il lavoratore. Ciò non toglie che magari
il lavoratore abbia contribuito fortemente alla produttività aziendale, ma se
così fosse, non si avrebbe motivo di licenziare il dipendente.
A volte però si abusa di questo
diritto e ci si appella troppo facilmente ai sindacati, specie quando un
sindacato stesso ha inserito un lavoratore in un determinato contesto
lavorativo; altre volte i sindacati prendono ulteriormente in giro, chi magari
si era sudato il posto, dando un’ ulteriore beffa a un povero Cristo, impotente
davanti alla compiacenza tra azienda e sindacato.
Dunque se il sacrificio di
quest’agnello servisse ad abolire tutte le forme di precariato, che sia fatto
fuori l’articolo 18.
Tanto in questo periodo di crisi,
è facile trovare giuste cause da parte delle aziende. Mancanze di commesse,
perdita di appalti, non si vende più, non si fattura più e via con i tagli del
personale.
A questo punto, crisi per crisi,
cercassero di favorire le assunzioni, quindi contratti a tempo indeterminato
per tutti, da subito, con maggiori tutele col passare degli anni e quindi con
l’acquisizione dell’anzianità di servizio.
Certo se si mettesse in pratica
tutto questo, dovrebbero mettere in pratica anche quello che hanno detto sugli
ammortizzatori sociali.
E se i sindacati non sono
d’accordo è perché hanno i loro interessi da difendere, non certo quelli dei
lavoratori. Negli ultimi anni hanno
perso gran parte della loro credibilità, con un provvedimento del genere
perderebbero gran parte della loro presunta utilità.
Alcuni esponenti delle classe
politica sostengono che non si eliminerebbe la precarietà, essendo alla fin
fine dei contratti a tempo indeterminato molto instabili, che favoriscano il
potere di licenziamento.
Al sottoscritto, cittadino del
Sud, preoccupa in realtà un altro aspetto. L’aumentare del lavoro nero, molto
presente prima che lo legalizzassero con i vari contratti di collaborazione
privi di ogni tutela e qualsiasi minimo diritto. Assumere un lavoratore costa,
è non sarà di certo il favorire l’azienda a licenziare un dipendente ad
agevolare le assunzioni.
Un malato che non vuole guarire
L’Italia è un malato che non
vuole guarire, un tossico che non vuole disintossicarsi.
Gli evasori sono tanti,
tantissimi e spesso a farne le spese sono i lavoratori stessi, con contratti e
buste paga non corrispondenti alla realtà del lavoro svolto.
L’Europa chiede che il nostro Paese si adegui alle più
forti economie mondiali, quindi partendo dalla base della produttività, i
lavoratori. Quindi contratti più stabili, ma più flessibili, ma con più
facilità di reinserimento nel mercato del lavoro. Così funziona spesso
all’estero. Ce la farà l’Italia, Paese di piccole imprese di artigiani, di
piccole fabbriche, di imprese agricole a restare al passo coi tempi?
Un Paese dove la
globalizzazione si è dovuta adeguare, dove spesso le multinazionali per
ottenere gli appalti, si sono visti comunque costretti ad assumere gli amici di
amici!
Un Paese fermo da 15 anni, dove la mia generazione
non ha ottenuto nessuna stabilità, dove i raccomandati sono fieri di ammettere
di aver avuto un posto perché conoscevano Tizio o Caio, e dove molti miei
coetanei sopravvivono a progetto!
Un Paese costretto ad
emigrare, perché qui non c’è posto!
Un Paese vittima
dell’industria universitaria, produttrice di masse di disoccupati sognanti
un posto stabile nel terziario che abbonda in un Paese obsoleto, dove noi
meridionali e gli immigrati riuscivamo, fino a non molto tempo fa’, a
stabilizzarci in qualche fabbrica del nord.
Io non so che fine faremo.
Abbiamo toccato il fondo già da un po’. Sprofonderemo come la Grecia?
Per il 2012, anno della fine del
mondo secondo le profezie Maya, è prevista recessione, il prodotto interno
lordo diminuirà.
Mi stupirei se presto terminerà
questa flessione, dato che non si è fatto che creare generazioni di precari,
impossibilitati a crearsi un futuro e di conseguenza a spendere, bloccando di
fatto l’economia del Paese in un assurdo e forse voluto circolo vizioso.
La politica è fatta di
chiacchiere. Le chiacchiere, si sa, non riempiono lo stomaco. Il governo Monti
ha fatto i fatti, operati poco graditi per il momento, anche se molti
concordano sulla necessità di questi aumenti, queste tasse. Speriamo che
continuino attuando una rigorosa riforma del lavoro, adeguando l’Italia al
resto del mondo civilizzato.
Francesco Favia
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