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martedì 30 dicembre 2008

SUPERENALOTTO, combinazione vincente

Non sono stati realizzati né 6, né 5+ al concorso odierno (n.157) del Superenalotto. Questa la combinazione vincente: 23,32,38,40,51,71; Jolly 48; SuperStar 52.

I 5 sono 22, ciascuno dei quali incassa 29.897,29 euro. Nel concorso Superstar sono state realizzate 7 vincite con 4 punti, ciascuna delle quali ricevera' 30.937,00 euro. Il jackpot per il prossimo concorso sale a 24.200.000,00.


(ANSA)

Due mesi di reclusione per gatticidio

Pensionato fa fuori il gatto della vicina. Patteggia in tribunale e se la cava con due mesi di carcere.


Pavia, la vicenda risale allo scorso agosto. Un pensionato, stanco delle incursioni del gatto della vicina nel proprio orto, decide di comportarsi anch’egli da animale, difendendo il proprio territorio nel modo più cruento possibile. Attira il micio con un esca, per poi catturarlo e ucciderlo a badilate. Il corpo del delitto lo ha preso e rinchiuso in un sacchetto, che ha ovviamente gettato nel bidone della spazzatura. La padrona rendendosi conto dell’accaduto, ha portato l’assassino in tribunale e appoggiata dalla Lega antivivisezione e riuscita a far condannare l’uomo. Due mesi di reclusione il verdetto. E l’uomo ha dovuto patteggiare per non in una pena più severa.

Francesco Favia

Questo blog non rappresenta una testata giornalistica, in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n. 62 del 7.03.2001


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Trova 160mila euro e li consegna ai Carabinieri

Raro gesto di una signora di Cagliari. I militari trovano il proprietario.


Più unico che raro l’ammirevole gesto di una signora di Cagliari, dipendente di un supermercato. La 43enne davanti la cassa continua dell’agenzia del Monte dei Paschi di Siena di via Tuveri, dove si era recata per effettuare un versamento, si è trovata di fronte ad una custodia contenenti assegni circolari e 15mila euro in contanti, per una cifra complessiva di ben 160mila euro. La donna non ha atteso poi molto per presentarsi in caserma e consegnare il tutto. Il ritrovamento è avvenuto sabato pomeriggio, i militari hanno reso noto l’accadimento dopo qualche giorno.
La signora Tiziana Concu, protagonista di questa encomiabile azione, si è resa orgogliosa e soddisfatta di quello che ha, un lavoro onesto e un’affettuosa famiglia, e non desidera denaro che sia di sua proprietà e che causerebbe un danno per chi lo ha smarrito.
Grazie alle indagini dei Carabinieri si è risaliti ad Andrea Petretto, responsabile amministrativo della società “Servizi stampa” di Cagliari.
E mentre la donna non spera in una ricompensa, ma in un minimo di gratitudine, sembra che non vi sia ancora stato nessun contatto tra la signora Concu e i titolari dell'azienda che aveva perso la cassettina.

Francesco Favia

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Giovanni Allevi, offeso, risponde a Uto Ughi

Smascherato il grande bluff, il diretto interessato non si fa attendere e controbatte

Come ha potuto farmi questo? Come ha potuto sputarmi addosso così tanto veleno proprio la vigilia di Natale? Lei si ritiene offeso, e di che cosa? Come fa una musica ad offendere se è scritta e suonata con tutta l’anima?
Questo si legge su La Stampa. Un Giovanni Allevi profondamente ferito. Ferito nell’animo o nell’orgoglio? O preoccupato per il danno d’immagine? E sicuramente non avrà passato un sereno Natale. Non ha perso il lavoro, non ha rate o mutui da pagare, ma l’opinione di Uto Ughi, lo ha profondamente addolorato, tanto da rovinargli le feste. In una lettera aperta sul quotidiano torinese, Allevi ribadisce che “si trova dove si trova” per puro merito, ribadendo il risultato dei suoi studi e le sue lodi. Uto Ughi aveva polemizzato sulla musica del pianista ascolano, dandogli del venduto, dell’artefatto, del prodotto commerciale, industriale e non certo svalutando il suo percorso, nonostante abbia sostenuto che un tempo entrare in conservatorio fosse più difficile e avrebbe affrontato un duro processo di selezione.
Il talento va ben oltre la competenza, poiché con la competenza si possono realizzare ottimi collage e questo avviene non solo in un discorso prettamente musicale.
Se esperti esprimono certi pareri però bisogna ascoltarli e cercare di ragionarci e di capire. Non si può tacciare di invidia chiunque esprima pareri contrari o negativi, ma solo chi affossa gli altri per pura cattiveria senza avere argomentazioni valide. Mi sembra che Uto Ughi abbia espresso plausibili argomentazioni, dunque comprendo il suo sdegno e per lo meno, ha dato modo di riflettere e di dibattere” Questo intelligente commento tratto da
www.neteditor.it lasciato da un utente, lascia trasparire che non tutta la gente si lascia abbindolare da egocentrici discorsi, espressi da gente che sentendosi arrivata, pecca nella mancanza di umiltà, quell’umiltà che permette di ascoltare gente più esperta, più navigata, che nella critica cerca di consigliare al meglio un giovane artista come può essere in questo caso, ma l’esempio si potrebbe estendere anche in altri ambiti.
A suo dire, lui è l’idolo dei bambini, della gente pura, l’esempio che i giovani studenti di conservatorio seguono ed è acclamato in tutto il mondo. Una persona, che se la canta e se la suona, insomma, che nella sua presunzione, afferma di non essere un vanaglorioso. E si limitasse a suonare, poiché gente così esaltata, a prescindere totalmente dalla polemica musicale, stanca facilmente.
Si definisce un sognatore; sicuramente lo è stato e se sogna ancora, probabilmente brama di veder estinti i suoi detrattori e magari di dominare il mondo, quello della musica almeno.

Francesco Favia

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Australia, scoppia la polemica per la legge anti-topless

La notizia fa il giro del mondo. La proposta ha dell’assurdo, ma anche la protesta potrebbe risultare esagerata.

Chi credeva che l’Italia fosse la patria del bigottismo si deve ricredere, o forse no. Forse no, poiché la proposta di legge del reverendo parlamentare Fred Nile, ha scaturito non poche proteste. L’esposizione dei seni delle donne dev’essere vietata per tutelare le famiglie che affollano le spiagge secondo il deputato del Nuovo Galles del Sud e importanti uomini politici dello Stato lo hanno appoggiato.
Per la California dell’emisfero australe sarebbe un bel colpo. Se in Australia dibattono sulla tetta in evidenza o meno, certo che stanno messi proprio bene e non soffriranno di quei problemi che affliggono il nostro Bel Paese. Sicuramente un donna in topless può dar anche fastidio, specie se la donna in questione avesse un aspetto decadente, ma credo che basterebbe non guardare e se qualche bambino ci gettasse un occhio, certo non avrebbe gravi problemi di salute.
Intanto in un Paese come l’Australia, dove l’abbronzatura è molto amata, la gente infuriata insorge, affidandosi a molte radio popolari. E se le nostrane radio nazionali concedessero libero spazio ai cittadini, sconfortati dalle gesta dei politici di Montecitorio, la musica probabilmente non troverebbe più posto.

Francesco Favia



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sabato 27 dicembre 2008

Uto Ughi va giù duro con Giovanni Allevi

Il violinista dà voce ai tanti musicisti che si sentono offesi dal fenomeno ascolano

Qualche giorno fa’, su La Stampa, si è potuto leggere un’intervista al grande violinista Uto Ughi, il quale ha criticato aspramente il successo mediatico-commerciale del noto pianista Giovanni Allevi.
L’intervista, reperibile anche
www.lastampa.it/, illustra come in Italia si confonda facilmente la merda e la cioccolata, per dirla alla Pino Scotto, e si scorge un netto tono accusatorio verso le istituzioni e verso l’atteggiamento superbo dell’Allevi.
Su Youtube, tra i filmati del pianista ascolano, si leggono commenti come questo

“La cosa veramente triste è che gente come Allevi si fa tourneé in giro per il mondo e fa concerti senza avere preparazione ne vera originalità musicale, mentre a tutti quelli che si spaccano a studiare in un conservatorio ma hanno meno faccia di culo e dignità di Allevi nel vendersi probabilmente non verrà mai concessa l'opportunità di un concerto, nonostante avranno sicuramente più capacità tecniche.”

E altri commenti dove molta gente ringrazia platealmente Uto Ughi.
C’è chi poi accusa del peccato capitale dell’invidia Ugo Uthi, anche se questi rappresentano la minoranza sul web, nonostante il successo di Allevi.
E poi chi sostiene che nonostante la musica di Allevi non vada considerata tecnicamente musica classica, sia comunque positivo il fatto che un certo tipo di musica strumentale si sminuisca pur di arrivare al grande pubblico, evitando di rimanere un prodotto di nicchia.
Uto Ughi sembra aver dar dato voce a molta di quella gente che studia e pratica da sempre con massima serietà e dedizione la musica, facendo notare che il successo non vada confuso con il talento.
E spesso in televisione si è sentito omaggiare Giovanni Allevi in modo sconsiderato, definendolo addirittura il Mozart del 2000. È un progetto discografico ben riuscito, quello costruito intorno al pianista, che ha concretizzato l’intento di far suonare Allevi in giro per il mondo.
E i detrattori, spesso, sono quelli che più ne capiscono di musica e parlare di invidia sarebbe fuori luogo. Al massimo si parlerebbe di frustrazione, poiché consapevoli del fatto che in giro c’è chi davvero ci sa fare con le note. D’altronde capita spesso nell’arte, nel giornalismo, nella letteratura, sul lavoro di vedere gente incompetente all’opera e magari anche lodata.

Francesco Favia


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Viagra come arma? Gli americani portano l'amore e non la guerra.

Ha del grottesco la notizia trapelata dal sito Washington post che parla dell’incontro tra un agente americano e l'anziano leader di un villaggio strategico nel sud dell’Afghanistan, che aveva sviato il discorso sulla sua famiglia, mentre lo si cercava di convincere a collaborare. L’americano, da buon conquistadores, gli ha porto un dono: consiglia al sessantenne dalla lunga barba bianca, in stile “saggio del cartone Siamo fatti così”, di provare queste quattro pilloline azzurre.
E il vecchio, felice e contento, può così soddisfare le quattro giovani moglie, o per lo meno il proprio membro, e gli americani ancor più felici e contenti sono riusciti nell’intento di convincere la riluttante popolazione afgana a schierarsi contro i talebani.
Quando si dice, fate l’amore e non la guerra. Se queste sono le armi per conquistare il mondo, siamo ben messi. Paracadutisti americani atterreranno sulle nostre città attaccati ad enormi preservativi, ma devono stare attenti, ché se si bucano, altro che gravidanza indesiderata, si andrà in chiesa per un funerale inaspettato e non per un battesimo.
E i famosi missili intelligenti cosa sarebbero? Degli enormi dildo che colpiscono senza ingravidare e spargere malattie veneree?
E forse queste segrete strategie, l’Italia le ha prese proprio dai cugini americani. Quindi l’idea di offrire belle gnoccolone per la conquista di voti in parlamento, non doveva essere proprio originale.
Beh se queste sono le nuove tattiche militari degli americani, possiamo stare tranquilli. Non ci saranno mai più spargimenti di sangue e la parola guerra diverrà sinonimo di pace.

Francesco Favia


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venerdì 26 dicembre 2008

Su Raiuno Benigni ha acceso il Natale

Un immenso Benigni narra ad adulti e bambini la favola di “Pierino e il lupo”

Raro momento di grande televisione su Raiuno la sera di Natale. Si è potuto assistere ad uno spumeggiante Roberto Benigni, in formissima, saltellare a destra e a sinistra, tra la l’orchestra e le prime file della platea, a suon di musica, prima che introducesse la favola musicale di “Pierino & il lupo”. E dopo aver omaggiato poeticamente l’uomo, l’unico in natura in grado di produrre quella magia che è la musica, ha presentato i vari personaggi della favola e gli strumenti musicali che li interpretano, concludendo con chi bada a tutti i musicisti: il maestro Abbado. E tra giochi di parole e metafore, Benigni ha dato il meglio di sé, nell’introduzione allo spettacolo.
Un sopraffino evento nel quale il premio Oscar ha prestato non solo la sua voce, ma la sua superba ironia ed il suo eccelso intelletto, per concedersi come voce narrante della favola di Prokof'ev.
E come le cose belle, questa delizia artistica è forse durata troppo poco, volata via troppo presto. Lo spettatore sicuramente non avrà distolto lo sguardo dalle peripezie di Benigni e l’orecchio dalle note fiabesche eseguite magistralmente dall’Orchestra di Mozart. Lieto del regalo ricevuto dall’azienda verso la quale paga il canone, si sarà domandato: “Devo ogni volta attendere Natale per guardare qualcosa di interessante in tv?”.

Francesco Favia


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domenica 21 dicembre 2008

Sulle emittenti locali spicca la qualità

Siamo alle solite con i problemi, ma la denuncia pubblica è innovativa e strappa risate


Vanno in giro, armati di microfono e intelligente ironia, per i quartieri di Bari e per i comuni limitrofi. Le loro menti hanno dato vita a un programma di denuncia, arricchito da una satira fresca e genuina, che coinvolge in pieno i cittadini, rendendoli i veri protagonisti della trasmissione.
Sono Giovanni Abbaticchio e Alberto De Giglio, che oltre ad essere gli autori e i curatori di “Siamo alle solite” - in onda tutti i giorni alle ore 7.50 e 20.50 e in replica il sabato alle 13.30 e la domenica alle 01:30 su Antenna Sud, emittente locale pugliese - sono coloro che scendono in prima linea per evidenziare ciò che non va nel territorio barese.
Giunto alla seconda edizione, il programma risulta leggero ed estremamente godibile, portando spesso e volentieri a far scappare una salutare risata al telespettatore. L’aspetto comico è parte integrante della denuncia sociale. Il cittadino, messo a proprio agio dai due simpatici e amichevoli ragazzi, tende a parlare del problema con naturalezza e dalla chiacchierata emergono i dettagli dei problemi che la pubblica amministrazione, dopo la pubblica denuncia, dovrebbe cercare di risolvere.
Le parole del cittadino sono sottolineate da contributi visivi, ovvero brevi spezzoni di film, telefilm o cartoni animati, nei quali i dialoghi o le espressioni sono contestualizzabili, appunto, al discorso dell’intervistato. Geniale trovata, vagamente in stile “Le Iene”, o il più antico “Fuego”, ma molto più divertente.
Provenienti dalla scuola di Telebari, Abbaticchio e De Giglio, si contraddistinguono in un paranoma televisivo ripetitivo, dove anche la denuncia sociale diventa trash con i vari tapiri e provoloni.
Se continueranno a sfornare idee innovative come queste, questi due ragazzi ne faranno di strada e faranno parlare di sé.

Francesco Favia
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Recensione del romanzo "Davanti a me" di Francesco Favia

Questa è la storia di una degradazione; una degradazione che coinvolge la vita di un ragazzo sensibile che si trova faccia a faccia con la realtà della vita, che è ben diversa dall’ilarità spensierata degli spot pubblicitari, ma al contrario, fatta di delusioni, sogni infranti, fallimenti. È così che la disperazione per una vita inutile, senza senso e senza scopo, lascia il posto alla decadenza fisica e morale. La mancanza di un lavoro e di una stabilità sia economica che affettiva, rende il protagonista, Sam, sempre più nichilista e pessimista, arrivando ad un’incolmabile inettitudine.
Pertanto tra bazzecole, espressioni dialettali e lessico scurrile si introducono digressioni e flussi di coscienza di carattere schopenhaueriano, a cui il protagonista ventiduenne si abbandona e attraverso cui abbiamo modo di conoscere le sue esperienze passate e le ragioni che determinano così grevi considerazioni. Anche la degradazione che si impossessa del giovane improvvisamente come una forza demoniaca e che momentaneamente lo appaga, sotto la maschera di un facile benessere, alla fine però si rivela nella sua verità di “femme fatale” che porta alla perdizione.
Il lessico ben riflette e si adegua al degrado; così come le convinzioni opinabili e lo stile spesso basso non stona e non crea scandalo, combaciando con la materia narrata nella sua sconvolgente verosimiglianza e attualità.
Una degradazione, in particolare, fatta di alcool, fumo, droga, sesso facile, affari “sporchi”; visibilmente un decadimento simile può riecheggiare il celebre quadro della degradazione “Il trittico della metropoli” dell’artista Otto Dix.
Il giovane Sam manifesta tutto il suo disagio interiore; la rabbia per una vita ingiusta trova appagamento in questo vile giro nel quale anch’egli, il quale in fondo è solo una bravo ragazzo disperato, è vittima “consapevole”. Infatti egli è a conoscenza della bassezza in cui è caduto e avverte il peso dei sensi di colpa, ma decide comunque di lasciarsi “violentare” dalla vita, almeno per un primo momento. Si lascia prima travolgere, ma poi arriva (per lui come ogni individuo) il tempo della redenzione. Rinsanisce e capisce che quello che sta facendo non serve a migliorare la sua esistenza, ma al contrario, procura solo malessere e decide di darci un taglio e di affrontare la vita “di petto”.
Quindi fanno la loro comparsa elementi e frasi speranzose, seppur gravate dall’incombere di un fatale destino. Dunque, dopo aver tirato un sospiro di sollievo, aver rivisto l’ex compagno di cella, che lo salva e lo persuade a godersi la vita, aver rivisto l’unico suo vero amico, che gli consegna una ragione per vivere (badare alla madre, rimasta vedova e sola), ci troviamo di fronte ad una sconvolgente e terribile fine.
In conclusione, seppur il romanzo possa apparire scurrile, esagerato, volgare, grottesco ad una lettura superficiale e generare disappunto sulle prime, la chiave con cui va letto è quella della sua tragica drammaticità ed intrinseca realtà.
Solo facendo così si può riuscire a cogliere perfettamente il suo elevato valore morale ed educativo, celato sotto sembianze prettamente “diseducative”.
Il finale tragico ed eccessivo, con la sua alta carica emotiva, lascia una scia di amarezze, poiché giunge inaspettatamente (nonostante si possono avvertire dei preavvisi); mai, comunque, finale sarebbe più appropriato per non rischiare di cadere nella banalità.
Nel complesso tale romanzo risulta un capolavoro di toccante drammaticità e (purtroppo) dolorosa attualità.


Federica Cicchelli




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Le artiterapie e la musicoterapia

Arte e musica come aiuto terapeutico


L’arte è una forma di comunicazione che per esprimersi in segno, forma, musica o gesto, necessita di un atto creativo. E’ dimostrato quanto l’atto creativo permetta di esprimere e regolare le proprie emozioni secondo modalità che, a volte, il solo linguaggio verbale rende difficoltose o insufficienti e quanto possa contribuire a migliorare la Qualità di Vita delle persone coinvolte. Le artiterapie, proprio per la loro capacità di mobilitare sia la facoltà evocativa(vita affettiva, emozioni, immagini),sia la facoltà strutturante(il modo in cui la forma è rappresentata in segno o spazio),possono diventare strumento conoscitivo, preventivo del disagio e di benessere.
Nelle artiterapie non esistono canoni estetici di riferimento, ossia non c’è la possibilità che un prodotto arteterapeutico sia bello o brutto: non può esistere stonatura, una danza fuori tempo, un disegno fatto male, perché l’unico riferimento è la persona stessa, in particolare è quella cosa che possiamo chiamare “unicità creativa”,quel “talento espressivo” nascosto ma presente in ognuno di noi e tale talento sopravvive anche in situazioni sfavorevoli, di disagio psichico e fisico. Il gesto(musicale,teatrale, pittorico, ecc…) assume allora il valore di portatore all’esterno del disagio della persona e sarà compito dell’operatore saper gestire e re-indirizzare, con una risposta adeguata, ciò che è stato esternato, al paziente stesso,creando le condizioni per un percorso terapeutico e riabilitativo vero e proprio. Il carattere artistico( musica,danza, pittura,ecc..), quindi, è solo un mezzo attraverso il quale i nostri vissuti sono simbolicamente rappresentati.
In conclusione, le artiterapie sono canali alternativi importanti ed efficaci perché intercettatori di quelle abilità e talenti propri dell’essere umano, che sopravvivono anche nelle fasi più avanzate delle malattie,demenze o disagi psichici.
La musicoterapia rientra nelle discipline arte-terapeutiche. La parola “Musicoterapia” si compone delle parole: “terapia” che possiede il significato di metodo di cura e “musica” che indica l’arte di combinare insieme dei suoni e il loro utilizzo in un dialogo sonoro; per cui l’unione dei due termini indica l’utilizzo in un intervento di carattere terapeutico o riabilitativo della musica, in cui essa assume la finalità di stimolare lo sviluppo della motricità, del linguaggio e di altre funzionalità. La musica risponde all’esigenza di comunicare attraverso vie diverse dalla sola parola e che tocchino la sfera più intima dell’uomo, permettendo così un dialogo in cui la parola perda la sua importanza fonetica e acquisisca una sua espressività sonora. Inoltre, la musica può essere utilizzata per entrare in contatto con vari aspetti dell’essere umano, legati sia allo scoordinamento motorio e a problematiche fisiche, sia quelli legati alla sfera psichica ed emotiva. Essa diviene un valido strumento anche quando si lavora sul recupero nell’ambito sociale, in tutte quelle forme di disagio sociale dove attraverso l’utilizzo di un linguaggio non verbale, si riesce a ricreare un dialogo.
Musica diviene musicoterapia solo quando essa diviene stimolo e veicolo portante da cui parte tutto un lavoro artistico-terapeutico.
Qualsiasi suono che entra nella nostra sfera uditiva ha sempre un’influenza su di noi, ci dona una sensazione fisica, psichica ed emozionale. Un insieme di suoni diviene, in base alla loro combinazione, una frase più o meno elaborata che porta in sé lo sviluppo espressivo, artistico, psichico e sociale dell’individuo che lo produce anche in un ambito musicoterapeutico. Bisogna giungere a far sì che un suono o un insieme di suoni lasci una traccia negli ascoltatori, ossia mettersi in contatto con la parte più significativa di se stessi: i propri vissuti, i propri desideri, le proprie rappresentazioni del mondo e delle cose e i propri stati emotivi. Toccare la parte più intima non è facile. Proprio la difficoltà di esprimere le proprie emozioni trova nella musica un mezzo intermediario per poter esprimere ciò che, a volte, risulta difficile dire in altro modo. E’ così che suoni e ritmi diventano espressione dei sentimenti, delle vittorie e delle sconfitte di tutti i giorni, stimolano la fantasia, divenendo così un canale d’apertura contro la chiusura in sé, i momenti sconsolati, o anche per dare libero sfogo a momenti d’euforia, proprio per quel legame che c’è tra la struttura della musica e la struttura delle emozioni. Pertanto la musica è un linguaggio non verbale che esprime i sentimenti dell’uomo e che consente, attraverso un proprio percorso, lo sviluppo della personalità. Nel lavoro musicoterapeutico la libera espressione è intesa come un metodo di lavoro grazie al quale ogni soggetto può comunicare con se stesso e con gli altri, attraverso un linguaggio non verbale, permettendogli di esprimere ogni suo vissuto fisico, emotivo e mentale. Il grado di comunicazione dipende dallo stato d’apertura o chiusura del soggetto in questione, dalla volontà di dialogare, dall’esigenza di sentirsi parte di un universo, dal bisogno di percepire se stessi e gli altri; aspetti che variano in ogni essere umano. In tutto ciò, la musica si può considerare un’arte che aiuta la costruzione di una dinamica collettiva, dando ad ognuno la possibilità di sentirsi parte di una stessa esperienza sonora ma, allo stesso tempo, lasciando ognuno libero di percepire e memorizzare l’esperienza sonora in modo individuale. Il grado d’individualità è dato dalla capacità creativa innata e sviluppata in noi, che permette un’elaborazione di tutti i dati che ci giungono, trasformandoli in impulsi fisici, mentali, emozionali. Tutte queste considerazioni ci portano a concludere che, l’utilizzo della musicoterapia nell’ambito dell’handicap si basa proprio sul presupposto che il linguaggio sonoro-musicale abbia una notevole importanza per facilitare la comunicazione, le relazioni, l’apprendimento, l’espressione, l’organizzazione, potenziando e riabilitando quelle funzioni dell’individuo che portano ad ottenere una migliore qualità della vita. La musica e il suono creano così un ponte tra la sfera psico-affettiva dell’individuo e le sue possibilità creative e comunicative che saranno valorizzate e potenziate all’interno del setting di musicoterapia, rendendoli protagonisti “attivi” dell’esperienza e non solo fruitori “passivi”, dando loro la possibilità di esplorare e sviluppare le proprie capacità elaborative. In modo particolare, nell’ambito scolastico la musicoterapia riveste un importante aspetto socializzante, relazionale ed integratore, creando nei ragazzi modalità di comunicazione diversa dal verbale, ma è soprattutto la musica come linguaggio universale, un mezzo facilitante per l’espressione di sé, che annulla ogni differenza legata a competenze intellettuali, facilitando quei canali di comunicazione legati al non verbale. L’espressione dei sentimenti di ognuno attraverso “il dialogo sonoro” o “la conversazione musicale” porta a dei veri e propri scambi tra i partecipanti. Tramite la musica si può stabilire tra il bambino disabile ed i suoi compagni, quel clima comunicativo che porta alla scoperta, all’accettazione, alla comprensione reciproca ed alla costruzione di regole comunicative comuni.

Federica Cicchelli


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Ventenni rubano posti di lavoro. E fra qualche anno anche loro saranno depredati.

Contratti di apprendistato, contratti a progetto, contratti a termine. L’assunzione? Un’utopia.


L’affannosa ricerca di lavoro, alle volte, può portare a strappare a qualche agenzia interinale o a qualche azienda medio-grande un contratto a tempo determinato. In altri casi si riesce a farsi prendere da qualche piccola ditta. Ed utilizziamo il verbo “prendere”, poiché di assumere, oggi, non ne vogliono sentir parlare i piccoli imprenditori.
Ecco che il giovane del ventunesimo secolo inizia a muovere i prima passi nel mondo del lavoro.
Nel migliore dei casi si impegna, sorbisce cazziatoni, osserva e cerca di apprendere il più possibile. Nel peggiore dei casi, lascerà il lavoro, convinto dalla sicurezza dei suoi vent’anni di non aver difficoltà a trovare un altro impiego. Prendendo il migliore dei casi, il bravo ragazzo con la testa sulle spalle, crede che dopo i primi tempi della gavetta, potrà trovare quella serenità, da tutti bramata, in un contratto a tempo indeterminato. Purtroppo la realtà sembra che si diverta a disilludere il giovane di questa nostra era.
Nell’epoca del benessere e della tecnologia, il posto fisso è quanto mai un’utopia. Si fanno sacrifici, si lavora sottopagati, tantissime ore, straordinari non riconosciuti, ci si sacrifica per fare esperienza e per imparare il mestiere… praticamente per nulla.
E l’età in cui si suppone che si possa stare tranquilli comprende il maggior numero di disoccupati. A vent’anni si riesce a lavorare in varie aziende, varie multinazionali, ma dato che nessuno pone il contratto a tempo indeterminato, è facile a trovarsi tra i venticinque e i trent’anni senza uno straccio di lavoro, arrivare a trent’anni e accorgersi che non ti vuole più nessuno. Basta guardarsi attorno: ovunque ci sono ragazzi con i contrattini dell’agenzia interinale, spesso giovanissimi. E non è difficile denotare come nei call center sono più i trentenni che i ventenni ed è impensabile che la gente fino ai trent’anni non abbia mai lavorato. È la conferma di statistiche che girano su internet che evidenziano come sia bassissima la percentuale dei lavoratori che passano dal contratto a tempo determinato a quello indeterminato. E uomini che dovrebbero rappresentare noi abitanti di una repubblica allo sbando, pensano alle tasche delle imprese. Maroni dichiarò che la precarietà non è un male, per le aziende è una manna far sottoscrivere questi contratti a termine. Beh… allora, dico io, mettiamoci tutti in proprio.
Siamo nel 2008, ma nulla è cambiato nel corso del secoli, nel corso dei millenni. Chi è al potere tutela chi ha il denaro, noi povera gente, dobbiamo interpretare il ruolo dei plebei e anche in silenzio.
Tutto il sistema è oramai lontano dalla realtà. Non è più il merito che premia, oggi nel mondo del lavoro, conta solamente la fortuna. Fortuna di conoscere qualcuno che conta, di ricevere qualche spinta, fortuna derivata dal caso, essere al posto giusto, nel momento giusto.
E nonostante il livello culturale, d’istruzione, si sia centuplicato nel corso degli ultimi decenni, nonostante la razionalità sembra sempre più aver preso il posto della fantasia, della creatività, nonostante si viva in un tempo fantascientifico dove si possono magicamente ascoltare centinaia di dischi, che un tempo occorrevano delle camere a parte per contenerli, mentre adesso basta e avanza il palmo di una mano, non resta sostanzialmente il fatto che… ci vuole un fondoschiena non indifferente per avere un contratto a tempo indeterminato.

Francesco Favia


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Tutto sul lavoro e sulla crisi economica, leggi

Forma d'arte, demagogia... o voce del popolo?

Dopo i politici, anche gli artisti si ergono a paladini. I lavoratori vengono definiti eroi e chi li definisce tali intasca senza lavorare.

In un mondo sempre più sconvolto dalle ingiustizie e dai soprusi dei potenti, dagli stipendi irrisori e dal beffardo caro vita, c’è chi coglie la palla al balzo per innalzarsi a paladino di noi disgraziati e mettersi in tasca guadagni che in nome dell’arte, non sono senz’altro sudati.
Sicuramente ben vengano le forme d’arte che in qualche modo rappresentino le difficoltà dei più deboli, ma, io che voglio pensar male, non sono convinto che lo facciano per puro senso di rivalsa morale. Apprezzabili dunque le ultime fatiche di Virzì, Caparezza, gli show di Grillo, ma senza noi precari, noi operai, noi vittime di multinazionali e parlamentari, non mangerebbero. Sarebbe toccato anche a loro impazzire in un call center, "spaccarsi le nocche sotto il sole", sudare, affaticarsi per uno stipendio che non basta nemmeno per sopravvivere.
Per prendere un esempio specifico, consideriamo il signor Salvemini da Molfetta, alias Caparezza. Un ragazzo umile, che non si è montato la testa nonostante il fortunato successo. Figlio di un operaio ed una maestra, tutt’oggi vicino alla realtà molfettese, nel suo ultimo singolo, interpreta l’operaio Luigi delle Bicocche. Mette in musica la voce di tutti noi poveracci. Probabilmente, o almeno si spera, avrà preso spunto da qualche persona a lui vicina. Potrà risultare anche una bella canzone, sicuramente dal testo significativo, tuttavia c'è qualcosa che non mi convince. Scusatemi. Se forse questa canzone si fosse trovata in un suo primo album, sarebbe stata più apprezzabile, ma cantata da chi ora è affermato. Non saprei. Accusato da sempre di far un uso ridondante di banale retorica, in questo caso ha superato se stesso, arrivando a proporre un incipit per una nuova corrente musical/artistica: la demagogia artistica.
Facendo un paragone, Fabri Fibra, parlava delle sue problematiche col lavoro nei suoi dischi underground. Era credibile, poiché lavorava per campare. E poi descriveva frustranti sensazioni e inquietanti stati d’animo. Ora descrive il mondo dello spettacolo e della discografia. Caparezza, probabilmente dovrebbe più cantare di sensazioni autobiografiche, piuttosto che interpretare un ruolo che non gli si addice, ossia il muratore, uno dei mestieri più massacranti che ci siano.
Demagogico, al punto tale che sembra che stia cercando di accaparrarsi più fan possibili, giocando la carta del lavoro e di tutte le sue brutture. Un vero e proprio sfruttamento di certi temi e certe problematiche sociali. La canzone “Eroe”, seppur orecchiabile e rappresentativa, mi sembra fuori luogo cantata da una persona che, a quanto pare, non ha mai lavorato più di tanto nella sua vita. Ci sono tanti artisti che si sono fatti il cosiddetto “mazzo”, prima di sfondare, ma non si sono mai eretti a paladini della società. In un'intervista, il signor Salvemini, disse che provò a fare il grafico, ma non ebbe fortuna. Eppure il talento non gli mancava, vinse anche una borsa di studio. Era forse la voglia di lavorare a mancare? Non so, mi sovviene Fabrizio Moro, che faceva il facchino fino a poco tempo fa’. È vero, di sua proprietà intellettuale è “Pensa”, ma quella, a mio avviso, è una canzone che fa riflettere, molto coraggiosa. Ce ne sono tanti di cantautori e scrittori che hanno fatto di tutto per campare: Albano, Luciano Ligabue, ricchissimo ora, ma sempre fiero di aver lavorato anche in campagna per racimolare qualche soldo. Oppure, prendendo una macchina del tempo, vi posso portare alla memoria, l’irriverente Charles Bukowski che nei suoi libri ridicolizzava i suoi datori di lavoro, spesso cinici sfruttatori. Diverso è, l’autoproclamarsi eroi, interpretando la gente che si deve compiacere per puri scopi di lucro. Io diffiderei di chi scrive solo ed esclusivamente canzoni a carattere sociale. Molto meglio chi, canzoni del genere, le riserva per occasioni e/o iniziative speciali. Il caso più noto è senza dubbio “Il mio nome è mai più” di tre mostri sacri del panorama musicale italiano, ma ci sono anche altri casi.
Indubbiamente la maggior parte dei lettori vorrà linciarmi, soprattutto i fan degli artisti da me citati, ma d’altronde siamo, sulla carta, in democrazia. Mi sono limitato ad esprimere un parere, credo oggettivo. Un’opinione su alcune linee artistiche. Senza turpiloqui ho esposto le mie impressioni. E poi… non era internet il mondo della libertà di opinione, espressione e parola????
Ribadisco che provocatoriamente ho voluto pensar male, ma come si dice… a pensar male, raramente si sbaglia.

Francesco Favia


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Crisi economica: rimedi del cittadino e furberie dei commercianti

Il cittadino spende meno nell'abbigliamento, rivolgendosi sempre più alle multinazionali. I piccoli commercianti si lamentano, ma forse dovrebbero porsi un esame di coscienza.


Ci troviamo oramai nella seconda metà di questo primo decennio che ci ha aperto le porte del ventunesimo secolo. Immersi profondamente in una grave crisi economica che ha colpito grosso modo l’intero pianeta, gli italiani, i neri d’Europa, sopravvivono con misere buste paga, striminzite ancor di più da cessioni del quinto ed altri tipi di debiti. In anni in cui il pignoramento delle case per non riuscir a tener testa a soffocanti mutui ha raggiunto percentuali vertiginose, il costo del cibo è aumentato a dismisura, la benzina è una sorta di bene di lusso, le bollette sono sempre più salate, l’abbigliamento è a malapena preso in considerazione dalla gente. Non più considerato come un bene primario, ma come prodotto di nicchia. Sembrerà esagerato, ma se si osserva attentamente una famiglia media, si denoterà come possa fare a meno del vestiario, utilizzando dei capi per diversi anni. Sembra di esser tornati indietro nel tempo, quando i nostri nonni, utilizzavano scarpe maglioni, pantaloni e cappotti per anni e anni e spesso li passavano a fratelli minori che avrebbero continuato a sfruttarli per ulteriori anni.
Oggi dei genitori di ceto medio, regalano al proprio figlio/a un capo d’abbigliamento in occasioni speciali come compleanni o feste come il Natale. Oppure danno direttamente una banconota da 50 euro nelle mani del proprio figlio, dicendogli di andare a comprarsi un maglione o un pantalone, consigliando di aspettare i saldi.
Ribadendo che si sta parlando di classe media, famiglie composte da operai, impiegati aventi uno, due figli frequentanti la scuola, si evince come solo i giovani acquistino capi d’abbigliamento e solo in determinati periodi dell’anno.
Stabilito quando e quanto una famiglia spende nell’abbigliamento, puntualizziamo il dove.
I ragazzi trovano sempre più prodotti sfiziosi ed a prezzi contenuti in quei punti vendita monomarca, figli legittimi di colossi del settore della moda di medio-bassa qualità.
Spuntate come funghi, dapprima nelle più grandi città mondiali, successivamente espanse per l’Europa, oggi sono presenti in quasi i tutti i centri dei capoluoghi di regione dello stivale.
Sembrerebbe che a risentire ciò siano i piccolo commercianti, che non fanno comunque a meno di ostentare beni di lusso, quali grosse auto, timbrate da marchi di case automobilistiche di prestigio, nonché poderose motociclette.
Nella lotta quotidiana contro queste odiate multinazionali che tuttavia danno da vivere a migliaia e migliaia di dipendenti in tutto il mondo, i commercianti oltre ad usare i trucchi storici, tra i quali lo spacciare un prodotto vecchio quanto il cielo per capi presenti nelle attuali collezioni o il gonfiare i prezzi nella settimana di Natale, sembrano aver deciso di spacciare i loro punti vendita per Outlet.
Senza far di tutta un erba un fascio, si può comunque notare come siano spuntati tanti piccoli Outlet nelle nostre città. La maggior parte di questi erano negozi già presenti, ai quali sotto state applicate sulle vetrine, scritte adesive rappresentanti questa parola tanto di moda. Più che una moda, Outlet è un vero e proprio fenomeno che permette in questa crisi economica di dare piccoli piaceri a gente che a mala pena riesce a sobbarcarsi un mutuo. E questa gente è la maggior parte degli italiani, ossia dipendenti privati e pubblici. Non importa che siano capi fuori moda o difettosi, l’importante è che si spenda poco. D’altro canto è sempre meglio che spendere tanto per altrettanti capi di passate stagioni o con difetti di produzione. Se poi non si cerca la grande firma, rimangono i confortevoli e convenienti colossi succitati.
Cinicamente molti commercianti si sono appropriati della parola Outlet, approfittando di questa scia positiva che sta contraddistinguendo questa nuova frontiera del commercio.
I prezzi però non sono propriamente bassi. I prodotti spesso non sono di marca. Anzi, si rischia di acquistare merce abilmente contraffatta.
Allora ci si deve chiedere che se oltre all’evidente crisi economica, i piccoli negozi non acquisiscano e perdano clienti, anche per la furberia dei loro titolari, i quali credono che l’acquirente non sia altro che un babbeo da raggirare.


Francesco Favia
martedì, 11 dicembre 2007


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sabato 20 dicembre 2008

Il punto di vista di Francesco Favia. Raccomandazioni: scoperta dell’acqua calda

Recenti vicende di cronaca con l’aiuto di certo cinismo, hanno dato luce a quel fenomeno al quale già i lavoratori italiani assistono quotidianamente sui loro posti di lavoro. E sul web si scatenano le discussioni.


Italia Paese di raccomandati. Patria di raccomandati. Scoperta dell’acqua calda. Probabilmente non è un fenomeno che si verifica esclusivamente nel bel paese, ma nella nostra nazione spesso i raccomandati rubano lo stipendio. Chi paga sono altri dipendenti che sono costretti a lavorare il triplo, quasi gratuitamente, dato che con gli attuali stipendi il potere d’acquisto è quasi inesistente.
In tutti i settori, in quasi tutte le aziende sono presenti privilegiati, gente nata con la camicia o gente che è riuscita a farsi avere una spinta per sistemarsi.
Nel giornalismo, poi è talmente risaputo, che sia un laureato in Lettere, o comunque in una materia umanistica, magari col sogno di diventare un giornalista, tale soggetto nemmeno ci prova a realizzare questa ambizione. Ciò avviene poi anche per altri rami come Medicina o la magistratura. C’è poi chi è talmente in gamba, tornando agli aspiranti giornalisti, che sin da quando è un povero studente, inizia a leccare piedi a destra e sinistra, e non è solo un modo di dire. Docenti, membri di partito, rappresentanti sindacali, tutti servono per il proprio scopo. Pian piano qualcuno ci riesce a collaborare con qualche giornale locale, dando inizio ad una lunga gavetta.
Altra gente, poi va direttamente in televisione o comunque viene assunta in importanti redazioni. Cognomi illustri o portavoce di politici, questi sono coloro che fanno il giornalismo con la G maiuscola in Italia. Giornalisti professionisti che chissà per quale mistero della natura hanno passato l’esame per far parte di quel circoscritto ordine. Poi si scopre che chi sa veramente scrivere ha solo la tessera del pubblicista e spesso nemmeno quella. Se si vuole leggere delle notizie nude e crude, si deve accedere ai siti delle agenzie del settore come per esempio le ben note ANSA e PRIMA. Se si vorrà leggere delle opinioni che delineano il punto di vista del cittadino, basterà far attenzione ai commenti che girano su internet che si possono trovare anche all’interno dei siti di importanti quotidiani. Nel sito de “La Repubblica” sotto gli articoli dei professionisti, ci sono i commenti dei lettori e spesso si rivelano molto più interessanti e sensati dell’articolo stesso.
Il recente battibecco accaduto tra Mastella junior e l’ormai ex Iena Sortino ha messo in risalto il noto mal costume italiano. Due figli di papà che bisticciano tra di loro, due bambinoni che discutono su chi è meno raccomandato fra di loro.
Mastella avrà avuto le sue spinte, ma Sortino per il suo sconsiderato gesto si è bruciato la carriera e non ci sono raccomandazioni che lo possono risollevare.
Nelle ultime ore sono state rese note le dimissioni del pel di carota. È più probabile che sia stata la stessa produzione a farlo fuori per il danno d’immagine che ha avuto la trasmissione. Su internet prolificano i commenti ed i forum sull’argomento, nei quali Sortino è praticamente messo alla berlina.
Sortino si è dato la zappa sui piedi. Tra i tanti argomenti da trattare ha voluto parlare di raccomandazione, infierendo poi su un ragazzo che seppur fortunato, attualmente non sta certamente attraversando un bel periodo.
L’ex Iena avrebbe dovuto godersi la sua raccomandazione, ma la cinica voglia di scoop ha dato pane per i denti della sua faccia di bronzo ed è stato indotto a fare il prete che predica bene e razzola male.
Le Iene, trasmissione che già attraversa una fase di calo di ascolti, adesso rischia di fare la fine del suo stesso inviato: sparirà dal tubo catodico. Già da un po’ di tempo i servizi andati in onda sfioravano il patetico, perdendo quella credibilità che li ha contraddistinti come paladini della giustizia. Quell’assoluta voglia di scoop e l’inguardabile speculazione sui problemi della gente, sembra essere destinata ad essere riposta in qualche cassetto. E forse anche la sorella Striscia la notizia, fra qualche anno cambierà linea editoriale, puntando maggiormente sulla satira come avveniva nelle prime edizioni.
Sortino discreto studente e senza voglia di lavorare, questo è quello che si legge in rete, ha avuto una mano dal padre. Altre mani ad altra gente nata con la camicia, hanno comprato lauree, hanno sottoscritto contratti d’oro, hanno assunto gente incompetente.
E noi poveri cristi, non possiamo far altro che esser fieri della nostra onestà, della nostra voglia di lavorare e di goderci almeno gli affetti: fidanzate, mogli, figli e nipotini. Questo è il nostro tesoro, la famiglia. La famiglia in quanto tale e non famiglie a mo’ di metafora come quelle dei politici papponi. Il cittadino onesto e lavoratore, deve augurarsi che questo periodo di crisi che ci riporta alla lontana depressione statunitense o al dopoguerra, finisca presto. Per il resto è inutile logorarsi l’anima, invidiare e imprecare contro i potenti, i raccomandati, i superiori ed i politicanti: è così che deve andare; sin dall’antica Roma i giochi di potere erano presenti. Non possiamo far altro che sperare di rinascere figli di papà, sempre se la reincarnazione davvero si avverasse.


Francesco Favia

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