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domenica 21 dicembre 2008

Crisi economica: rimedi del cittadino e furberie dei commercianti

Il cittadino spende meno nell'abbigliamento, rivolgendosi sempre più alle multinazionali. I piccoli commercianti si lamentano, ma forse dovrebbero porsi un esame di coscienza.


Ci troviamo oramai nella seconda metà di questo primo decennio che ci ha aperto le porte del ventunesimo secolo. Immersi profondamente in una grave crisi economica che ha colpito grosso modo l’intero pianeta, gli italiani, i neri d’Europa, sopravvivono con misere buste paga, striminzite ancor di più da cessioni del quinto ed altri tipi di debiti. In anni in cui il pignoramento delle case per non riuscir a tener testa a soffocanti mutui ha raggiunto percentuali vertiginose, il costo del cibo è aumentato a dismisura, la benzina è una sorta di bene di lusso, le bollette sono sempre più salate, l’abbigliamento è a malapena preso in considerazione dalla gente. Non più considerato come un bene primario, ma come prodotto di nicchia. Sembrerà esagerato, ma se si osserva attentamente una famiglia media, si denoterà come possa fare a meno del vestiario, utilizzando dei capi per diversi anni. Sembra di esser tornati indietro nel tempo, quando i nostri nonni, utilizzavano scarpe maglioni, pantaloni e cappotti per anni e anni e spesso li passavano a fratelli minori che avrebbero continuato a sfruttarli per ulteriori anni.
Oggi dei genitori di ceto medio, regalano al proprio figlio/a un capo d’abbigliamento in occasioni speciali come compleanni o feste come il Natale. Oppure danno direttamente una banconota da 50 euro nelle mani del proprio figlio, dicendogli di andare a comprarsi un maglione o un pantalone, consigliando di aspettare i saldi.
Ribadendo che si sta parlando di classe media, famiglie composte da operai, impiegati aventi uno, due figli frequentanti la scuola, si evince come solo i giovani acquistino capi d’abbigliamento e solo in determinati periodi dell’anno.
Stabilito quando e quanto una famiglia spende nell’abbigliamento, puntualizziamo il dove.
I ragazzi trovano sempre più prodotti sfiziosi ed a prezzi contenuti in quei punti vendita monomarca, figli legittimi di colossi del settore della moda di medio-bassa qualità.
Spuntate come funghi, dapprima nelle più grandi città mondiali, successivamente espanse per l’Europa, oggi sono presenti in quasi i tutti i centri dei capoluoghi di regione dello stivale.
Sembrerebbe che a risentire ciò siano i piccolo commercianti, che non fanno comunque a meno di ostentare beni di lusso, quali grosse auto, timbrate da marchi di case automobilistiche di prestigio, nonché poderose motociclette.
Nella lotta quotidiana contro queste odiate multinazionali che tuttavia danno da vivere a migliaia e migliaia di dipendenti in tutto il mondo, i commercianti oltre ad usare i trucchi storici, tra i quali lo spacciare un prodotto vecchio quanto il cielo per capi presenti nelle attuali collezioni o il gonfiare i prezzi nella settimana di Natale, sembrano aver deciso di spacciare i loro punti vendita per Outlet.
Senza far di tutta un erba un fascio, si può comunque notare come siano spuntati tanti piccoli Outlet nelle nostre città. La maggior parte di questi erano negozi già presenti, ai quali sotto state applicate sulle vetrine, scritte adesive rappresentanti questa parola tanto di moda. Più che una moda, Outlet è un vero e proprio fenomeno che permette in questa crisi economica di dare piccoli piaceri a gente che a mala pena riesce a sobbarcarsi un mutuo. E questa gente è la maggior parte degli italiani, ossia dipendenti privati e pubblici. Non importa che siano capi fuori moda o difettosi, l’importante è che si spenda poco. D’altro canto è sempre meglio che spendere tanto per altrettanti capi di passate stagioni o con difetti di produzione. Se poi non si cerca la grande firma, rimangono i confortevoli e convenienti colossi succitati.
Cinicamente molti commercianti si sono appropriati della parola Outlet, approfittando di questa scia positiva che sta contraddistinguendo questa nuova frontiera del commercio.
I prezzi però non sono propriamente bassi. I prodotti spesso non sono di marca. Anzi, si rischia di acquistare merce abilmente contraffatta.
Allora ci si deve chiedere che se oltre all’evidente crisi economica, i piccoli negozi non acquisiscano e perdano clienti, anche per la furberia dei loro titolari, i quali credono che l’acquirente non sia altro che un babbeo da raggirare.


Francesco Favia
martedì, 11 dicembre 2007


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