Dal romanzo - Davanti a me - di Francesco Favia, anno 2005, inedito.
Sotto
il cielo grigio che rappresentava benissimo il suo stato d’animo, camminava
angosciosamente con gli occhi che cercavano scritte: “cercasi…” Cercava
qualsiasi cosa, ma c’era da superare la selezione anche per un posto da
commesso.
In
quel periodo lasciò il suo numero e il suo curriculum, che raccontava poco o
niente, a svariate agenzie e aziende che costantemente gli dicevano che avrebbe
avuto una telefona per un colloquio.
Ovviamente
non gli arrivò nessuna telefonata, tranne una volta: gli fu comunicato da una
segretaria, più giovane di lui, di presentarsi il lunedì mattina, alle otto e
trenta, in giacca e cravatta. Un raggio di speranza gli illuminò gli occhi.
Il
lunedì mattina si svegliò sereno, fece colazione, si tirò a lucido e speranzoso
si recò all’ufficio. Camminava per la strada quasi fiero e si sentiva adulto e
un po’ vecchio per via di quell’abbigliamento che dovette indossare e che non
amava in particolar modo. Era contento, perché finalmente si sentiva vivo.
Aveva qualcosa da fare. Si sentiva parte della società. Oh! Andava a lavoro…per
giunta in ufficio e in giacca e cravatta!!
Sembrava
troppo bello per essere vero, ed infatti…
In
ufficio (anche se in ufficio ci sono degli impiegati e lì non c’era nessun
impiegato…) Samuele trovò altri
giovani, forse più disperati di lui e con situazioni peggiori della sua, i
quali seduti aspettavano il capoufficio.
Quando
arrivò, cominciò a fare il lavaggio del cervello ai nuovi e, a volte chiedeva
ai veterani di spiegare certi punti. I veterani non avevano l’entusiasmo che
tanto avrebbero dovuto avere, secondo le parole di quel demente con la erre
moscia che si presentava come capoufficio.
La
perplessità di Samuele si intensificava.
Dopo
le varie spiegazioni, ci fu una divisione in gruppi, capitanati ognuno dal
ragazzo che da più tempo lavorava lì.
Samuele
e il suo gruppo dovevano andare fuori città, in un paesino. Non sapeva ancora
cosa gli aspettasse, pensava che avrebbe dovuto far domande alla gente e
compilare dei moduli, perché così molto vagamente gli disse il tizio con la
erre moscia in un breve colloquio. Durante il viaggio chiese informazioni ai
suoi “colleghi” e gli chiese se si trovavano bene a lavorare per questa…
azienda.
Sembravano,
quasi di proposito, tutti entusiasti, eccetto il ragazzo che lavorava solo da
qualche giorno.
Samuele
sentiva dentro di sé che non sarebbe stato il suo lavoro, forse per istinto,
forse per sesto senso o forse per le spiegazioni vaghe ricevute dai ragazzi
nell’auto che lo intossicavano con la cenere e il fumo di sigarette.
Il
suo presentimento si concretizzò, quando alle porte del paese chi guidava
accostò. Dopo esser scesi tutti dall’auto, i giovani lavoratori aprirono il
portabagagli dell’auto dal quale estrassero diversi libri. Praticamente con una
serie di parole bisognava convincere la gente ad acquistare i libri - di
bassissimo livello d’altronde, che andavano dai libri da colorare ai libri di
ricette - , provando addirittura a dire che i soldi andavano in beneficenza ad
una associazione… Altro che giovani lavoratori, giovani elemosinatori! Comunque
per Samuele era solo il primo giorno (e anche l’ultimo) e doveva solo assistere
per vedere come si faceva a raggirare la gente.
Samuele
seguì il capogruppo. Bussarono alle porte di varie abitazioni: la maggior parte
erano signore anziane che con la pensione a malapena arrivano alla fine del
mese e che sostenevano (ed erano sincere, le persone sincere si riconoscono) di
aver dato già qualcosa ad altri ragazzi che lo stesso vendevano libri per far
del bene. Oppure c’erano casalinghe con mutui da pagare e il resto dei problemi
che tante famiglie di mortali hanno (tra cui la famiglia di Samuele).
Beh
a quell’ora chi volevano trovarci in casa?
Il
capogruppo, dopo diversi tentativi falliti telefonò al suo compare in giro per
il paese come loro due.
“Ehi!
Vedi che qui sono già passati!”
Samuele,
mentre guardava il “lavoratore” al telefono, pensava disgustato:
“Pensa
te… non c’è solo un’associazione che va a fregare la gente…ma svariate!”
In
più Samuele dovette sorbirsi gli atteggiamenti poco simpatici di superiorità
che aveva quel ragazzo. Si sentiva superiore, perché era un capogruppo, ovvero
un “manager” come diceva il tizio con la erre moscia: “Si comincia come agenti,
per poi col tempo e con l’esperienza diventare manager e guadagnare di più”.
Avete capito che tipo di lavaggio del cervello faceva il capoufficio con la
erre moscia?
Agente?
Manager? Chi ci casca non sa neanche il significato di quelle parole.
In
più i “lavoratori” sostenevano che realmente parte del ricavato andava a finire
ad un’associazione di disabili, ma il nostro Samuele era come san Tommaso,
doveva vedere per credere.
Samuele
capiva che avevano bisogno di lavorare, perché anch’egli era sulla stessa
barca, ma…lavorare e non elemosinare o fregare la gente!
Samuele
quella mattina, andò alla stazione di quel paesino, prese il treno e tornò a
casa più afflitto di prima, con l’ottimismo che volò di nuovo via.
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