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domenica 21 dicembre 2008

Recensione del romanzo "Davanti a me" di Francesco Favia

Questa è la storia di una degradazione; una degradazione che coinvolge la vita di un ragazzo sensibile che si trova faccia a faccia con la realtà della vita, che è ben diversa dall’ilarità spensierata degli spot pubblicitari, ma al contrario, fatta di delusioni, sogni infranti, fallimenti. È così che la disperazione per una vita inutile, senza senso e senza scopo, lascia il posto alla decadenza fisica e morale. La mancanza di un lavoro e di una stabilità sia economica che affettiva, rende il protagonista, Sam, sempre più nichilista e pessimista, arrivando ad un’incolmabile inettitudine.
Pertanto tra bazzecole, espressioni dialettali e lessico scurrile si introducono digressioni e flussi di coscienza di carattere schopenhaueriano, a cui il protagonista ventiduenne si abbandona e attraverso cui abbiamo modo di conoscere le sue esperienze passate e le ragioni che determinano così grevi considerazioni. Anche la degradazione che si impossessa del giovane improvvisamente come una forza demoniaca e che momentaneamente lo appaga, sotto la maschera di un facile benessere, alla fine però si rivela nella sua verità di “femme fatale” che porta alla perdizione.
Il lessico ben riflette e si adegua al degrado; così come le convinzioni opinabili e lo stile spesso basso non stona e non crea scandalo, combaciando con la materia narrata nella sua sconvolgente verosimiglianza e attualità.
Una degradazione, in particolare, fatta di alcool, fumo, droga, sesso facile, affari “sporchi”; visibilmente un decadimento simile può riecheggiare il celebre quadro della degradazione “Il trittico della metropoli” dell’artista Otto Dix.
Il giovane Sam manifesta tutto il suo disagio interiore; la rabbia per una vita ingiusta trova appagamento in questo vile giro nel quale anch’egli, il quale in fondo è solo una bravo ragazzo disperato, è vittima “consapevole”. Infatti egli è a conoscenza della bassezza in cui è caduto e avverte il peso dei sensi di colpa, ma decide comunque di lasciarsi “violentare” dalla vita, almeno per un primo momento. Si lascia prima travolgere, ma poi arriva (per lui come ogni individuo) il tempo della redenzione. Rinsanisce e capisce che quello che sta facendo non serve a migliorare la sua esistenza, ma al contrario, procura solo malessere e decide di darci un taglio e di affrontare la vita “di petto”.
Quindi fanno la loro comparsa elementi e frasi speranzose, seppur gravate dall’incombere di un fatale destino. Dunque, dopo aver tirato un sospiro di sollievo, aver rivisto l’ex compagno di cella, che lo salva e lo persuade a godersi la vita, aver rivisto l’unico suo vero amico, che gli consegna una ragione per vivere (badare alla madre, rimasta vedova e sola), ci troviamo di fronte ad una sconvolgente e terribile fine.
In conclusione, seppur il romanzo possa apparire scurrile, esagerato, volgare, grottesco ad una lettura superficiale e generare disappunto sulle prime, la chiave con cui va letto è quella della sua tragica drammaticità ed intrinseca realtà.
Solo facendo così si può riuscire a cogliere perfettamente il suo elevato valore morale ed educativo, celato sotto sembianze prettamente “diseducative”.
Il finale tragico ed eccessivo, con la sua alta carica emotiva, lascia una scia di amarezze, poiché giunge inaspettatamente (nonostante si possono avvertire dei preavvisi); mai, comunque, finale sarebbe più appropriato per non rischiare di cadere nella banalità.
Nel complesso tale romanzo risulta un capolavoro di toccante drammaticità e (purtroppo) dolorosa attualità.


Federica Cicchelli




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