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sabato 7 febbraio 2009

Viva Giuseppe Gatì

Per non dimenticare chi fu malmenato per aver espresso la verità

Il 29 dicembre 2008 Vittorio Sgarbi arrivava in ritardo alla presentazione del suo libro, presso la Biblioteca Comunale “La Rocca” di Agrigento. Ad attenderlo in una sala affollata, c’erano anche dei ragazzi per contestare chi osò dare del mafioso proprio a chi cerca di combattere questo storico fenomeno criminale. Vittorio Sgarbi fu anche condannato dalla procura di Torino a otto mesi di reclusione e al pagamento di cento milioni di lire per questo motivo, ossia di aver diffamato Giancarlo Caselli. Sgarbi, infatti, su un articolo comparso sul quotidiano "La Stampa" nel '96, definì i magistrati di Torino come “giudici mafiosi che arrivano dal Piemonte e che sequestrano la Sicilia”.
Tra i ragazzi pronti a contestare l’intellettuale Vittorio, emerse a gran voce un ragazzo di Campobello di Licata, provincia agrigentina. Con un grido disperato, come definito da Beppe Grillo sul suo blog, ha gridato “viva Caselli, viva il poop antimafia”, dopo aver dato a Sgarbi del volgare e del pregiudicato. Strattonato, preso a calci, Giuseppe lottò per esprimere la verità.
I suoi compagni scapparono, salvando la telecamera. Benedetto sia internet, grazie a Youtube e ai blog, i fatti sono ben documentati e alla portata di tutti.
Giuseppe fu trattenuto per delle ore per degli “accertamenti”.
Ecco il racconto dello stesso Giuseppe, tratto dal suo sito
http://www.lamiaterraladifendo.it/

"Con alcuni amici l’altro giorno mi sono recato presso la biblioteca comunale di Agrigento per contestare con volantini e videocamera Vittorio Sgarbi. Ci siamo soffermati su due punti in particolare: la condanna in via definitiva per truffa aggravata ai danni dello stato, e quella in primo e secondo grado, poi andata prescritta, per diffamazione del giudice Caselli. Dopo quasi due ore di ritardo ecco che arriva, in sala la gente rumoreggia e fischia. Subito dopo aver preso la parola, naturalmente con qualche volgarità annessa, inizia la nostra contestazione. Nel video non si vedono o sentono certe cose. Sono stato subito preso e spintonato da un vigile, mentre qualcuno tra la folla mi rifilava calci e insulti. Sgarbi, prima chiedeva che venisse sottratta la videocamera alla mia amica, e dopo cercava lui stesso di impossessarsene. Ma è importante sapere cosa succede dopo. I miei amici vanno via perchè impauriti, mentre io vengo trattenuto dai vigili. Si avvicina un uomo in borghese, che dice di appartenere alle forze dell’ordine e cerca di perquisirmi perchè vuole la videocamera (che ha portato via la mia amica). Io dico che non puo’ farlo e lui mi minaccia e mi mette le mani addosso. Arriva un altro personaggio, e minaccia di farmela pagare, ma i vigili lo tengono lontano. Dopo vengo preso e portato in una sala appartata della biblioteca, dove la polizia prende i miei documenti e il telefonino. Chiedo di vedere un avvocato(ce n’era addirittura uno in sala che voleva difendermi), per conoscere i miei diritti, ma mi rispondono di no. Mi identificano più volte e mi perquisiscono. Poi mi intimano di chiamare i miei amici, per farsi consegnare la videocamera, ma io mi rifiuto. Arriva di nuovo il presunto appartenente alle forze dell’ordine in borghese e mi dice sottovoce che lui dirà di esser stato aggredito e minacciato da me. Non mi fanno parlare, non mi posso difendere. Dopo oltre un’ora e mezza mi dicono che non ci sono elementi per essere trattenuto ulteriormente, mi fanno fermare il verbale di perquisizione e mi congedano con una frase che non posso dimenticare: “Devi capire che ti sei messo contro Sgarbi, che è stato onorevole e ministro…”."

Circa un mese dopo, Giuseppe Gatì morirà in un incidente sul lavoro. Sembra che un filo elettrico scoperto sia stata la causa incidentale di tale tragedia. Anche Peppino Impastato, presunto terrorista, morì incidentalmente perché trasportava esplosivo. È inutile adesso fare paragoni e soprattutto illazioni, anche se molta gente non riuscirà a non pensare male. Il danno, poi, è che oggi con internet i pensieri diventano facilmente pubblici.
Chi ha amato Giuseppe Gatì e chi si sta innamorando della sua dolcezza, che traspare sulle foto e sui filmati in rete, non può che sperare che gli investigatori facciano il loro dovere e chiariscono le cause che hanno spezzato troppo presto una vita. Gli stessi amici di Giuseppe confermano che era un ragazzo estremamente dolce, dedito all’onestà e al lavoro.
Giuseppe voleva difendere quello in cui credeva. Credeva nella legalità. Amava la sua terra e lo dimostrava continuamente:

"Io ho deciso di rimanere qui, perchè non devo essere io ad emigrare per non sporcarmi le mani per cercare un lavoro, ma deve andare via chi questa terra l’ha martoriata.Ho creato un piccolo spazio cartaceo che periodicamente metto in giro (volantini e manifesti) al quale ho dato il nome di QUI CAMPOBELLO LIBERA (il mio paese infatti si chiama Campobello di Licata in provincia di Agrigento).Ancora sono il solo ad occuparmene, ma confido di risvegliare qualche bell’anima; il mio spazio si occupa di informare i cittadini di ciò che i media nazionali oscurano o censurano: condannati in parlamento, leggi vergogna, inciuci ecc.Ho già avuto i primi commenti negativi, ma non mi fermo qui. Questa è la mia terra e io la difendo."

Queste le parole di un ragazzo amante delle sue origini, che poteva emigrare o comunque svolgere il proprio lavoro, vivendo una vita tranquilla.
E invece no, perché sentiva che non poteva rimanere passivo:

"La Sicilia non è bella, è bellissima, ed io voglio lottare per far si che questa vituperata terra possa rinascere.
Cerco di fare cio’, portando dentro di me il ricordo di gente come Falcone, Borsellino, Pio La Torre, Peppino Impastato, Pippo Fava, Beppe Alfano….e tutti coloro hanno dato la vita per ridare dignità alla Sicilia e ai siciliani.
"


La sua lotta non è sta facile. Al contrario di Piero Ricca, lui era un lavoratore ed era figlio di un lavoratore. Non aveva le spalle coperte. Certo è da apprezzare anche l’impegno di Ricca, ma Giuseppe non poteva permettersi di dire, se mi tocchi ti denuncio. Al di là dei contesti completamente differenti da quelli milanesi, Giuseppe non era figlio di persone importanti.
Il padre, coordinatore cittadino del PD, gli avrà trasmesso la passione per la lotta politica probabilmente, ma padre e figlio erano gente abituata a sudare per portare a casa la pagnotta. Adesso Giuseppe non suderà più. Riposerà e per sempre il suo ricordo rimarrà nei cuori e nelle menti di chi lo ha conosciuto e di chi lo sta conoscendo grazie alla rete.

Francesco Favia

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