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martedì 3 gennaio 2012

Cronaca di una mattinata al Centro per I'Impiego ai tempi della Grande Crisi

Impressioni di Francesco Favia, glorioso blogger precario e morto di fame

Francesco Favia, blogger
Bari, otto e trenta del mattino. Arrivo al Centro per l’Impiego o, per meglio dire, Ufficio Collocamento. Già da lontano scorgo una fila lunghissima. Quel posto mi è abbastanza familiare, ma in tutti questi anni non avevo mai visto una coda di tal portata. Sono tutti in attesa che aprano l’ingresso, un fiume di gente occupa svariate decine di metri di marciapiede, fino ad occupare, alla sua fine, parte della strada.
Mi accodo anch’io. Sembrava di essere dei deportati. Nell’attesa, occhi smarriti osservavano flashback figuranti le code alla mensa dei poveri viste nei film o nei servizi del telegiornale.
Mi sentivo impotente. Ancor più pezzente delle volte precedenti, poiché ormai consapevole di non essere più un ragazzino di belle speranze.
Alle nove aprono il portone. Con calma e ordinatamente si avvia il corteo. Si prende il numero e si attende. Una lunghissima ed estenuante attesa. Una calma attesa. Gente rassegnata, non avente nemmeno più la forza di prevaricare l’altro. Siamo tutti sulla stessa barca.
Tanta gente apparentemente borghese. Il ceto medio svanito. I nuovi poveri.
Rispetto al passato ho avuto anche l’impressione che l’età degli utenti fosse più elevata. Molta gente di mezza età, tra i quaranta e i cinquant’anni. Meno giovani rispetto una volta.
Qualche trentenne. Non mi sono sfuggiti, anche qui, griffe e smartphone. Francamente anch’io non so come tiro avanti, ma la comodità di un telefono del genere me la sono concessa, anche se paradossalmente l’ho preso proprio per ammortizzare i costi, in abbonamento per compensare i furti delle tariffe e delle mendaci promozioni delle ricaricabili.
Riesco a trovare un sedia libera. Seppur sudicia mi ci accomodo. Infreddolito aspetto.
Ad un certo punto incontro un conoscente, un ragazzo col quale  lavorai tempo fa’ in uno dei tanti lavori interinali. Dopo due anni di chiamate saltuarie dall’agenzia, mi racconta che non l’hanno più contattato. Adesso, da un po’, lavora in nero, guida un furgone.
Parliamo un po’ e si evince che siamo tutti inguaiati. Alla fine si resta senza parole. Ogni tanto gli sguardi si incrociano anche quando mi allontano, perché si avvicina il mio turno. Ecco il mio numero, non manca molto alle undici. Sono passate due ore e mezza da quando mi sono messo in coda per strada.
Chiedo allo sportellista e ricevo lo stato occupazionale. Sportellista, impiegato. Non so come preferite chiamarlo, ma non mi sembra diverso da un operatore di call center inbound, che spulcia dati sul terminale e fornisce servizi e informazioni. Peccato che all’occhio del mondo, queste categorie di lavoratori siano diverse.
Per la cronaca, il mio stato occupazionale risulta “precario con attività lavorativa che non sospende lo stato di disoccupazione”, ovviamente perché  il mio reddito è irrisorio. Risulto disoccupato da venticinque mesi, lo devo considerare un lato positivo?
Concludo con una domanda. Tra inoccupati, precari, cassaintegrati, per non parlare di chi percepisce una misera pensione e i sottopagati, mi chiedo quanti siamo nella merda al giorno d’oggi?
Ma la Grande Depressione o il Dopoguerra sono stati periodi più difficili? E le domande poste sono due, ma ho terminato. E che la fortuna ci assista.

Francesco Favia

3 gennaio 2012

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2 commenti:

  1. Ti confesso che leggere questa tua esperienza mi ha fatto tornare indietro di oltre dieci anni quando mi davo da fare a cercarmi un impiego serio, con un libro sotto un braccio e con il giornale degli annunci sotto l' altro braccio. Studiavo sempre per completare le mie conoscenze pregresse e mi aggiornavo di frequente perché volevo essere al passo coi tempi credendo che prima o poi ce l' avrei fatta. Ma i mesi passavano e la risposta era sempre la medesima: manca il lavoro, sai, c' è un po' di crisi ... devi pazientare ancora. Ma dopo un po' la pazienza è finita e ho fatto scelte difficili, drastiche ... le ho dovute fare! Ora sono fuori la mia amata Puglia e dopo molti sacrifici la situazione è buona ma confesso che ho dovuto adattarmi a situazioni particolari in contesti socio-culturali diversi da quelli in cui mi ero formato. Non è stata una passeggiata ma almeno ora posso vedere fiero negli occhi coloro che tante promesse hanno fatto ma che non hanno mantenuto le loro promesse!

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  2. Caro amico, sono contento per te e per tutti quelli che lottando e sacrificandosi sono riusciti a raggiungere i traguardi prefissati. Lotta estenuante e assai vanificata qui al Sud.
    Qui sembra non esserci via di uscita. Sono anni che mi prometto di fare le valige, poi un giorno sono capitato in un’azienda, una multinazionale, che nonostante gli infiniti contrattini a progetto, mi ha concesso una certa continuità lavorativa ed entrate più o meno stabili, seppur miseri. Capirai, dopo tutto quello che avevo subito a livello lavorativo, è bastato poco per adagiarmi.
    Ora sto vivendo un nuovo capitolo buio della mia vita, non solo professionalmente parlando. Partirei oggi stesso, non ho più niente da perdere. Sembra, però che molte ditte al nord stiano chiudendo e che non sia più come prima. Poi non saprei nemmeno io come collocarmi, non avendo competenze specifiche. Tu che lavoro svolgi, in che località sei riuscito ad avere fortuna? Se ti va, puoi raccontarmi la tua esperienza in privato con una mail a nonsolocronache@gmail.com

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